Accettare pagamenti in Bitcoin o cryptovalute: si può.
Sei una Partita IVA ? accettare pagamenti in Bitcoin o cryptovalute è possibile !
Accettare pagamenti Bitcoin o cryptovalute per una azienda, società o ditta individuale che sia, può essere una buona operazione di marketing. Spesso però i titolari sono titubanti per paura di entrare in un “ginepraio” di guai ed incombenze, anche perché i consulenti più vicini, ossia i commercialisti, non sono ancora preparati per rispondere a queste domande in quanto non esiste una norma giuridica ad hoc.
Per poter incassare una prestazione od la vendita di un bene mediante cryptovalute è sufficiente emettere la fattura o lo scontrino/ricevuta fiscale in euro e procedere all’incasso del “controvalore” in bitcoin (o altra crypto).
Posto che non si voglia utilizzare un servizio di conversione istantanea della cryptovaluta in euro, cerchiamo di fare un excursus sulle possibili soluzioni.
Se la partita IVA è gestita in contabilità semplificata allora non dovranno essere fatti ulteriori passaggi contabili, salvo il conteggio della eventuale plusvalenza o minusvalenza al momento del cambio (o a fine esercizio come vedremo successivamente) da cryptovaluta a moneta a corso forzoso (Euro nel nostro caso). In questo caso potrebbe essere una buona pratica che sia il titolare a cambiare istantaneamente la cryptovaluta in Euro, così da non dover avere ulteriori incombenze e rientrare nel “regime” di tassazione da privato che verrà illustrato nelle sue contraddizioni in un successivo post.
Per i soggetti in contabilità ordinaria si dovrà tenere traccia della cryptovaluta nella contabilità stessa aprendo uno o più conti appositi “bitcoin”, “litecoin” ecc. utilizzando il controvalore in euro derivato dall’operazione. Ad esempio una fattura di 5.000,00 iva inclusa può essere pagata supponiamo con 1 bitcon pertanto si dovrà avere il conto “bitcoin” nell’attivo circolante con valore al “costo storico” ossia nel nostro caso a 5.000,00 euro.
Alcuni ritengono che al 31 dicembre si dovrà, al pari di una valuta estera, contabilizzare il valore al tasso di cambio. Personalmente sono perplesso su questa impostazione per due motivi:
Il primo di ordine legale, in quanto non esiste alcun tasso di cambio ufficiale, ma soltanto una serie di mercati non regolamentati. Inoltre non vi è alcuna norma che assimili le cryptovalute alle valute estere, ma soltanto alcune risoluzioni dell’agenzia delle entrate in risposta a diversi interpelli che, hanno valore soltanto per i proponenti.
Il secondo di ordine prudenziale, in quanto le cryptovalute al momento sono caratterizzate da una elevatissima volatilità ed un bilancio fortemente influenzato da un rialzo potrebbe rappresentare una situazione falsata da una forte ribasso successivo all’approvazione del bilancio stesso.
Posto che il fisco al contrario delle norme e della giurisprudenza commerciale tende a sovrastimare i valori, una soluzione di compromesso potrebbe essere quella di mettere l’incremento di valore (pur sulla base delle quotazione dei mercati non regolamentati) quale variazione in aumento della base imponibile nelle dichiarazione dei redditi delle società, senza riportare nel bilancio civilistico tale valore.
Al momento non mi risultano interpelli su tale specifico argomento, ma se un’impresa volesse eliminare il rischio accertamento, in attesa di una norma specifica, quella resta la via maestra con tutti gli oneri di dover poi assumere comportamenti ingiusti quali pagare le tasse anticipatamente su utili non ancora effettivamente conseguiti.
Paolo Musumeci
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Manager and consultant in tax, law, financial and business administration on cryptocurrency, blockchain and DAG, co-founder and treasurer BTC Association