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Intervento sulla regolamentazione blockchain di San Marino


Tanto rumore per nulla?

Con il decreto delegato 27 febbraio 2019 anche la Repubblica di San Marino propone un approccio regolamentare al fenomeno della blockchain, dei token e delle valute virtuali.

Diversamente da altri approcci (tra i più recenti e completi quello di Malta della metà del 2018), la Repubblica del Titano decide di non limitarsi ad una regolamentazione delle criptovalute nei loro profili più impattanti con l’ordine pubblico (l’antiriciclaggio, la tutela del risparmio, la fiscalità) ma di normare in via generale il fenomeno “blockchain per le imprese”.

A prima vista, il tentativo si infrange, come più o meno tutti gli altri visti finora, sui tre temi più caratteristici del fenomeno blockchain applicato agli scambi: il problema definitorio, il problema della territorialità, il problema dell’efficacia della tassazione. Non dimentichiamoci mai che le DLT e la sua applicazione blockchain rappresentano le bombe anarchiche create per scuotere l’economia del nuovo millennio

Sotto il profilo definitorio, l’apparente montagna della definizione normativa della blockchain nell’art 1 , comma 1 lett. a) del Decreto un Registro Distribuito composto da blocchi di transazioni validate e confermate, organizzati in una catena sequenziale alla quale possono essere solamente aggiunti nuovi blocchi attraverso l’impiego di connessioni basate su funzioni crittografiche di hash o tecnologie equivalenti progettato per essere in grado di resistere alle manomissioni e di fornire un archivio immutabile delle transazioni ivi registrate” e del token alla lett. s) “una serie di dati informatici in forma aggregata tra loro e archiviati su Blockchain che incorporano, a seconda dei casi: beni fungibili tra loro, servizi, diritti di credito, diritti amministrativi, partecipativi e/o di qualsiasi altra natura, ovvero che servano come strumento di scambio e che siano univocamente riconducibili ad un Indirizzo Pubblico” partorisce il proverbiale topolino:  il Decreto si limita ad identificare (e quindi regolare) due sole tipologie di token:  quelli “di utilizzo” di cui all’art. 8 e quelli “di investimento” di cui all’art.9.

I primi sono banalizzati come “voucher”; i secondi come “asset digitali” che rappresentano azioni, strumenti finanziari od obbligazioni dell’emittente. Per emettere i primi basta un libro bianco; per i secondi si rinvia niente-popò-di-meno-che ad un prospetto informativo di livello europeo.

E qui la normativa aggiunge un interessante profilo operativo, suggerendo ai potenziali emittenti la possibilità di utilizzare l’istituto del trust per lanciare le ICO, considerando che il trust possa rappresentare uno strumento idoneo al trattamento unitario degli acquirenti dei token e, per di più, offrire la garanzia della separatezza patrimoniale all’emittente stesso (art. 7 comma 3 del Decreto).

Anche il tema della territorialità non riesce a convincere: la disciplina Sanmarinese sulla blockchain, per l’art. 2 del Decreto Delegato, si applica solo ai soggetti (persone fisiche o giuridiche) che siano residenti in San Marino, in un Paese dell’Unione Europea, o in un paese “extra-comunitario ritenuto idoneo dalla normativa vigente nella Repubblica”; sarebbe divertente sapere come reagirebbe l’autorità di controllo sui mercati finanziari tedesca di una ICO (/ITO) lanciata in Germania sulla base della normativa sanmarinese (a tal proposito, l’ultimo comma dell’art. 9 ricorda che gli emittenti di token di investimento sono soggetti ai limiti di investimento previsti nel Paese in cui hanno sede legale); così come sembra piuttosto sfuggente o tautologico il concetto di un paese extracomunitario ritenuto idoneo dalla normativa vigente, salvo non ci si aspetti un intervento subregolamentare da parte dell’Istituto per l’Innovazione di San Marino, cui il Decreto riserva ampi poteri discrezionali.

Infine, la fiscalità: piacerà a molti operatori delle criptovalute in particolare il terzo comma dell’art. 11, che redcita: “I redditi realizzati attraverso i token … sono esenti da imposizione ai fini dell’Imposta Generale sul Reddito”. Per la gioia dei tartassati di tutto il mondo, si sappia che San Marino ha sancito il principio di non tassazione dei proventi realizzati con operazioni effettuate con i token. Viene da domandarsi quanto reggerebbe questo principio, se a qualcuno venisse in mente di emettere token rappresentativi di titoli di credito ed iniziasse a promuovere in San Marino un mercato di tali token.

La rinuncia alla tassazione di un fenomeno che può generare ricchezza, e quindi capacità contributiva, secondo la migliore dottrina fiscale, non è mai una buona soluzione; d’altra parte finora nessuno Stato occidentale ha fatto più che ricondurre le diverse esperienze dei token e delle criptovalute, ove possibile, entro categorie giuridicamente conosciute e tassandole di conseguenza; con ciò creando un interesse degli emittenti per l’arbitraggio tra le diverse normative, per capire dove localizzare un fenomeno (ad es. il lancio di una ICO, lo scambio di una criptovaluta con una valuta fiat) che per definizione ha carattere globale.

Da ultimo, l’accenno alla disciplina antiriciclaggio: la dichiarazione resa nell’art 12 che chiude il Decreto resta comunque una bellissima dichiarazione di principio:  “L’accesso a tutte le operazioni, ivi inclusa la circolazione dei token, di cui al presente decreto delegato è consentito esclusivamente a quei soggetti che siano effettivamente sottoposti anche nelle giurisdizioni di appartenenza a misure di controllo” antiriciclaggio.  Sì, ma come? Questo non ce l’hanno ancora spiegato.

Silvio Rizzini Bisinelli

 

 

 

 
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