Perchè Bitcoin e Ethereum non sono piattaforme adatte al business
Con il crescente interesse delle istituzioni e dei media sul quanto accade nel mercato delle cryptomonete inizia a concretizzarsi interesse anche da parte degli investitori istituzionali, fondi e venture capitalist.
Nella recente conferenza Token2049 tenuta a Hong Kong ho assistito a un interessante panel a cui hanno partecipato cinque manager di altrettanti top investor: Will Peets, Portfolio Manager di Passport Capital, Wayne Trench, CEO di Octagon Strategy, Bobby Cho, Global Head of trading in Cumbreland, Brian Kelly, CEO di BKCM e Robert Dykes, CEO di Kaspian.
Per chi non li conoscesse sono cinque fondi e venture capital tra i più attivi sul mercato crypto.
Hanno dato due notizie importanti:
- Sono certi della crescita del mercato e si aspettano un 2018 molto positivo
- Sono intenzionati a investire sia su nuove ICO, sia su nuove piattaforme.
La prima è un ottima notizia, la seconda mi ha lasciato un po’ perplesso: c’è davvero bisogno e spazio per nuove piattaforme?
La domanda non ha una risposta così scontata come si potrebbe immaginare.
Se da una parte è evidente che i nuovi capitali (e nuove ICO) che entreranno nel mercato pongono sfide tecnologiche alle piattaforme più note (Ethereum per prima), dall’altra è un po’ curioso pensare che non vi siano alternative in grado di supportare queste esigenze, ne sotto il profilo funzionale, ne quello prestazionale.
La verità è che le problematiche a cui guardano questi investitori non sono tecnologiche, bensì organizzative.
Infatti, se fino ad oggi si è investo in crypto con uno spirito pionieristico e molta propensione al rischio, con l’arrivo di capitali importanti, prima ancora della normativa arriva da parte dei gestori di fondi la necessità di controllare in modo molto preciso chi di fatto supporta il loro business.
Ecco quindi che divine molto ragionevole investire su una nuova piattaforma e potendone controllare la governance, investire con maggiore serenità in ICO che questa piattaforma supporterà.
Anche se, sembrerebbe più ragionevole prendere il controllo di una piattaforma esistente piuttosto che investire nella creazione di una nuova da zero.
Il punto è che Bitcoin, Ethereum e tutte le piattaforme da loro derivate, non sono controllabili. Questa è una caratteristica ben nota delle piattaforme crypto, e apparentemente un loro punto di forza, ma le cose non stanno realmente così.
In primo luogo non è affatto vero che il controllo di Bicoin ed Ethereum sia distribuito. Il processo di mining è in mano a tre organizzazioni (tre aziende) che hanno molte possibilità di controllare le transazioni che entrano nella rete.
Possono provocare l’aumento del costo delle transazioni e conseguentemente effetti imprevisti a un servizio basato sulla piattaforma. Oppure possono, come successo più volte, provocare un fork, ovvero la separazione in più parti di utenti, potenza di calcolo e comunità di sviluppatori. Tutti queste possibilità sono inaccettabili per progetti industriali e finanziari.
La mancanza di equilibrio
Il problema che affligge tutte le piattaforme in cui esiste un processo di mining si chiama “equilibrio”.
L’equilibrio è la caratteristica che porta tutte le transazioni ad avere lo stesso trattamento, ovvero ad essere acquisite ed elaborate dalla rete in modo analogo indipendentemente da caratteristiche specifiche.
In Bitcoin, Ethereum, ecc ecc, non c’è equilibrio, per progetto.
Infatti ogni transazione è elaborata secondo una priorità che si basa sul costo (fee) che chi l’ha sottomessa è disposto a pagare.
Dato che nessuno controlla i miners, nessuno può essere certo che la sua transazione sarà presa in carico immediatamente: in un dato instante può succedere che arrivino molte transazioni con fees più elevate e la nostra venga quindi messa in coda.
Ovviamente fino a che le transazioni sono inserite manualmente il problema non è significativo: basta guardare le statistiche e controllare quale è il tempo medio di conferma in base alle fee pagate dalle ultime transazioni.
Ma se l’operazione deve essere eseguita automaticamente e si devono dare dei tempi di risposta certi agli utenti di un servizio basato sulle transazioni della piattaforma, questo modello organizzativo diventa inaccettabile.
D’altra parte, se le fee fossero fisse, visto che il numero di transazioni che ogni blocco può contenere è limitato, anche in presenza di lunghe code di attesa i miners guadagnerebbero lo stesso importo.
Non sarebbero pertanto incentivati ad aumentare la loro capacità di calcolo, con un conseguente potenziale rischio per la sicurezza della piattaforma.
Il punto tuttavia è che all’aumento della potenza di calcolo dei miners non aumenta la quantità di transazioni che la rete è in grado di gestire. Questa infatti dipende dalle dimensioni del blocco e da quanto frequentemente viene creato un blocco.
Va da se che anche modificando questi parametri si raggiungerà sempre un limite che non sarà mai adeguato a supportare le esigenze applicative delle molte ICO che stanno per entrare in questo mercato.
C’è poi da dire che se parliamo di transazioni economiche, la quantità di transazioni che la piattaforma è in grado di gestire è un parametro ancora secondario. Il fattore che un utente si aspetta di vedere ridotto a livelli “normali” è la latenza.
La latenza è il tempo che intercorre da quando una transazione viene creata a quando è considerabile confermata. Oggi questo dato è per Bitcoin è di almeno venti minuti, per Ethereum si scende molto rimando comunque sempre sopra il minuto. E questo vale solo se non vi è congestione. In casi di congestione la latenza può salire facilmente a ore.
Chiaramente sono tempi inaccettabili per creare delle applicazioni sofisticate, come ad esempio un sistema di e-commerce o un exchange decentralizzato.
Pertanto è evidente come mai i grandi investitori stanno pensando a nuove piattaforme come prerequisito su cui basare i loro prossimi investimenti. Nuove piattaforme che a mio parere non possono avere miners.
Un esempio dell’inadeguatezza di Bitcoin ed Ethereum la vediamo in questa immagine:
Si tratta dell’elenco delle aziende partner del progetto Startup Autobahn (www.startup-autobahn.com)
STARTUP AUTOBAHN is the ultimate innovation platform that unites global young tech companies with the unrivalled tech expertise of Silicon Valley and the best of German engineering.
Di questo panel di aziende, due sono strettamente legate al mondo Crypto:
- IOTA, crypto moneta caratterizzata dall’assenza di miners quindi di fees, virtualmente scalabile senza limiti
- Streamr, piattaforma di streaming di dati IOT con varie funzionalità utili per la creazione di servizi complessi
Va notato che Streamr è nata su Ethereum. I dati possono essere memorizzati sulla blockchain e il servizio viene pagato usando uno specifico token. Tuttavia Streamr si dichiara “blockchain agnostica”. A mio parere questo è un modo elegante per dire che se occorrono prestazioni certe Streamr propone l’adozione di una blockchain privata, quindi completamente controllabile.
Va detto che una “blockchain privata” è una contraddizione in termini: se è privata non è decentralizzata e se non c’è decentralizzazione non c’è consenso distribuito, ovvero non vi è alcuna affidabilità dei dati che contiene facilmente modificabili da chi la controlla.
Di IOTA ho già precedentemente scritto quindi non mi dilungo. Ricordo solo che è l’unica piattaforma che permette ad una azienda di controllare la propria parte di infrastruttura (uno o più nodi in base prestazioni necessarie) senza che ciò costituisca una “perdita” di decentralizzazione.
Vedremo come evolverà e cosa produrrà questo gruppo di aziende ma sono convito che IOTA e Streamr lavoreranno in sinergia per creare una piattaforma funzionale impossibile da realizzare oggi su Ethereum e men che meno su Bitcoin.
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