Ripple non è XRP: quali sono le differenze?
Spesso causa di fraintendimenti, la relazione tra Ripple e XRP fa discutere. Analizziamo come stanno le cose per dipanare qualche dubbio.
Avviso: preparatevi una tazza di caffè e mettetevi comodi, perché questo articolo è abbastanza lungo!
All’inizio ho pensato di suddividerlo in vari articoli, ma in questo caso è fondamentale mantenere il filo del discorso per avere una visione d’insieme!
Come accennato nel mio primo articolo, Ripple generalmente non è ben vista nella community delle Crypto in quanto ad una prima occhiata sembrerebbe che sia l’unica creatrice di XRP.
Questo porta a pensare che tutto l’ecosistema XRP sia sotto il suo controllo, così come i nodi validators.
Non ultimo essendo una azienda privata, che tra l’altro si occupa di software per banche e affini, non fa altro che aumentare la diffidenza generale.
Ricordiamoci infatti che Bitcoin è nato a seguito della grande crisi economica mondiale del 2008, che non ha fatto altro che aumentare la diffidenza verso queste istituzioni.
Riassumendo, a Ripple si contestano principalmente queste cose:
– Rete centralizzata
– Detiene il 60% delle riserve globali di XRP
– XRP è un escamotage per permettere a Ripple di guadagnare e basta (Scam!)
– XRP non ha casi d’uso reali
Un po’ di storia
Quello che a molta gente sfugge è che XRP è nato prima di Ripple: è progetto completamente opensource che ha avuto luce nel 2011 per mano di Arthur Britto, Jed McCaleb, e David Schwartz (oggi CTO di Ripple).
Si esatto, quel Jed McCaleb, proprietario di MtGox che poi ha lasciato il team per creare Stellar Lumens.
XRP a differenza di Bitcoin non prevede mining, tutti i 100 miliardi di token sono stati creati in partenza “per inception”.
Questo significa che il primo Ledger (se vogliamo, il primo blocco della chain), conteneva già tutti i token.
XRP è stato creato per risolvere diverse problematiche tipiche delle blockchain proof o work, quali il consumo energetico, la velocità di transazione e la probabilità di attacco del 51% (ovvero la possibilità che un’unica entità possa controllare il network possedendo il 51% della potenza dello stesso).
Questi signori quindi si sono trovati tra le mani un grosso potenziale, ma non avevano le forze economiche per poterlo promuovere.
Avevano già individuato l’ambito di trasferimento di denaro come primo ambizioso obiettivo, ecco quindi che grazie all’aiuto di Chris Larsen viene fondata OpenCoin che aveva l’obiettivo di sviluppare casi d’uso reali per questo token.
Se volete conoscere tutti i dettagli della fondazione di Ripple, vi consiglio questo articolo scritto dalla mitica Tiffany Hayden, una delle supporter XRP più famose!
Ad OpenCoin quindi vengono donati l’80% dei token disponibili, il resto vengono distribuiti tra vari exchange e non solo.
Nel 2012 sul forum bitcointalk vengono donati 1000 XRP per ogni utente, l’anno successivo il progetto World Community Grid donava XRP agli utenti che contribuivano alla ricerca scientifica tramite l’utilizzo dei propri PC.
Nel 2013 OpenCoin cambia nome e diventa Ripple.
Quello che voglio far notare è che all’inizio il valore di XRP era praticamente nullo.
OpenCoin quindi non si è finanziata vendendo XRP (come molti pensano), ma è stata finanziata da vari gruppi di investitori in dollari sonanti.
E questo continua ancora tutt’oggi con diverse tornate che finanziano le attività della compagnia.
Qui sotto i primi che hanno contribuito:
Gli investitori della compagnia quindi ricevono quote della stessa non tramite XRP, ma dollari.
Questo tra l’altro è uno dei punti che smentisce il fatto che XRP sia una security… possedere XRP infatti non significa possedere quote di Ripple.
Il rapporto Ripple e XRP
In sostanza la blockchain è un progetto a se stante, dove sicuramente Ripple contribuisce in modo massiccio, ma che comunque non controlla direttamente.
Se vogliamo fare una analogia possiamo parlare di Red Hat con Linux: E’ una compagnia che vende assistenza su Linux alle aziende che hanno bisogno di un punto di riferimento professionale.
Red Hat sviluppa anche una distribuzione Linux che di per sè non è in vendita… si può scaricare liberamente dal sito e installare, perché Linux è opensource e non può essere venduto.
Nonostante questo però Red Hat spende un sacco di soldi nello sviluppo di linux, e anche se ad un primo sguardo può sembrare una cosa folle (pagare programmatori per sviluppare codice open disponibile per tutti), in realtà il ritorno economico arriva con l’assistenza a pagamento e con altro software che viene sviluppato sopra questo ecosistema.
Ecco, Ripple fa la stessa cosa con XRP: paga programmatori per sviluppare la blockchain, ma il suo guadagno primario non è tanto XRP, quanto i programmi che vende alla banche che si appoggiano a questa blockchain (xRapid in particolare) e non solo. Descriverò le soluzioni software di Ripple nel prossimo articolo!
Si crea così un circolo vizioso, dove Ripple è interessata in prima persona alla crescita di XRP, sia per vendere software e sia perché possedendo il 60% dei token è la prima interessata nel successo dello stesso.
Ripple però è consapevole che da sola non riuscirebbe nell’impresa.
E’ necessario che XRP venga utilizzato in più ambiti possibili: l’azienda ha deciso di focalizzarsi sul trasferimento di denaro tra banche e compagnie private di remittance (MoneyGram, Western Union, Cuallix, ecc…).
Ma questa incredibile blockchain può essere la risposta a diversi ambiti economici, come le micro-transazioni e tanto altro.
Ecco perché è fondamentale che la Blockchain XRP sia open e accessibile a chiunque.
Tutti, da aziende a programmatori appassionati, possono collegarsi e sviluppare software che si appoggi ad essa, senza richiedere nessun permesso a Ripple!
Più soluzioni vengono sviluppate e più richiesta di XRP ci sarà nel mercato, e questo non farà altro che aumentare il valore dello stesso.
Tutto questo però non può accadere se XRP non genera fiducia. E Ripple lo sa bene!
Come ben sappiamo il fatto che il codice sia open è una garanzia, questo significa che ci sono molti “occhi” che lo scrutano al di fuori dell’azienda, pronti a segnalare qualsiasi “cavolata” che Ripple potrebbe inserire nel sistema.
Ma questo non basta: la rete DEVE essere decentralizzata! Altrimenti niente fiducia!
Direi un requisito comune a tutte le blockchain.
Ripple e la decentralizzazione
E qui arriviamo ad uno dei punti “caldi”. Ripple è accusata di essere il “dittatore” della rete, arrivando addirittura a congelare account e transazioni se necessario.
Per smentire queste accuse dobbiamo innanzi tutto capire cosa vuol dire “decentralizzazione” e analizzare il problema da due punti di vista, entrambi messi in evidenza dalla community:
Accusa 1) – XRP è centralizzato perché Ripple detiene il 60% dei token
Possedere una grande quantità di token non significa possedere il network.
Facciamo un esempio: creo un wallet bitcoin e convinco tutti i possessori di BTC al mondo a versare i loro Bitcoin sul mio wallet.
In questo modo avrò circa 17 milioni di Bitcoin sul mio wallet: possiamo dire che la rete bitcoin è diventata centralizzata?
NO, per il semplice motivo che possedere tanti bitcoin non significa possedere la potenza di calcolo del network… è solo una questione di distribuzione di token. Anche se posseggo 17 milioni di bitcoin, ho comunque bisogno di tutto il network per poter validare le transazioni che voglio effettuare.
Tra l’altro chi accusa Ripple sotto questo aspetto dovrebbe un attimo rivedere la distribuzione del network Bitcoin, dove il 4,1% dei wallet detiene più del 96% delle riserve
Lo stesso discorso vale per Ripple: possedere il 60% dei token non significa per forza possedere la maggioranza del network di validazione.
A questo punto però molti ribattono, tirando in causa la possibilità di Ripple di vendere tutti i loro 60 miliardi di token, influenzando quindi il network, soprattutto il suo prezzo/valore.
Anche qui bisogna specificare e fare delle precisazioni:
– Ripple ha sicuramente l’obiettivo di vendere XRP a scaglioni, ma lo può fare solo se c’è richiesta di mercato e soprattutto ha licenza per farlo direttamente solo verso istituzioni come Exchange, non privati.
Ricordiamoci che si trova in una posizione particolare, perché è essa stessa la promotrice della tecnologia in questione. Se Ripple si mettesse a vendere XRP in grandi quantità senza nessuna ragione, è molto probabile che nessuno compri, anzi, darebbe un segnale di sfiducia che influenzerebbe il mercato.
Prima bisogna creare la domanda, poi si può vendere senza influenzare troppo il prezzo, in quanto la vendita è funzionale alla richiesta di mercato effettuata da exchange e istituzioni.
– Anche se volesse, Ripple può vendere al massimo 1 miliardo di token al mese, in quanto più di 55 miliardi di riserve sono state inserite in escrow.
L’escrow è una cassaforte funzionante a livello di ledger (quindi decentralizzata dove Ripple non ha potere). Per attivarla si inserisce la quantità di XRP da archiviare e la condizione di uscita, che può essere temporale o altro.
Ripple ha diviso 55 miliardi di XRP in escrow mensili da 1 miliardo l’uno.
Ogni mese si sbloccano quindi 1 miliardo di XRP che possono essere utilizzati dall’azienda per donazioni, vendite o altro.
Gli XRP non utilizzati a fine mese tornano in escrow e si accodano a quelli già presenti.
Questo quindi garantisce una certa disponibilità controllata sul mercato, e impedisce a Ripple stessa di venderne in grandi quantità.
Da notare che finora Ripple non ha mai venduto tutti gli XRP resi a disposizione mensilmente, ma è sempre stata molto al di sotto… le cose molto probabilmente cambieranno all’aumentare della richiesta.
Questi escrow, essendo sulla blockchain, sono pubblici e possono essere continuamente consultati, qui un sito che ne tiene traccia.
Da aggiungere che Ripple, come qualsiasi azienda di un certo livello, ogni trimestre pubblica i risultati finanziari agli investitori, dove viene descritto in modo minuzioso non solo il guadagno tramite vendita di software, ma anche l’utilizzo degli eventuali XRP che sono stati venduti.
Per fare un paragone: cosa ne sappiamo noi delle intenzioni di quel 4,1% di possessori di bitcoin?
Potrebbero venderli senza preavviso, non ci sono escrow sulla rete BTC, e nessuna garanzia a riguardo.
Improbabile che succeda dall’oggi al domani, ma è solo per far presente come Ripple si stia comportando in modo serio e responsabile a riguardo, non solo a parole, ma affidando alla blockchain la quasi totalità dei suoi fondi perdendone effettivamente il controllo totale per oltre 55 mesi.
Accusa 2) – XRP è centralizzato perché Ripple ha il controllo della rete
Inutile che ci giriamo intorno: all’inizio tutti i nodi erano in mano a Ripple.
Ma direi che non ci vuole un genio a capirlo, Ripple è nata per promuovere XRP quando nessuno sapeva manco cosa fosse.
Quindi è abbastanza ovvio che i primi server validator fossero unicamente in mano a Ripple.
Detto questo, come già accennato in precedenza, Ripple ritiene che la decentralizzazione del network sia assolutamente fondamentale per creare fiducia nello stesso!
Altrimenti non serviva mica “smazzarsi” e creare una blockchain: sarebbe bastato un banale database!
Ecco quindi che a discapito delle malelingue, Ripple ha da sempre una road-map ben precisa, dove la decentralizzazione è uno dei punti fondamentali.
All’inizio la roadmap prevedeva di concentrarsi sulle performance e sulla funzionalità di exchange decentralizzato (qui l’articolo a riguardo).
La fase di decentralizzazione, come previsto, è partita verso la metà del 2017 e ha come obiettivo ambizioso la creazione di un network più decentralizzato di Bitcoin entro la fine del 2018!
E le cose direi che stanno procedendo molto bene: ad oggi i nodi della rete hanno superato quota 750.
Sul sito xrpcharts ci sono le statistiche in tempo reale.
Se analizziamo esclusivamente nodi validators, ovvero quelli che si occupano della validazione delle transazioni, solo il 6% sono in mano a Ripple.
Quindi già oggi Ripple non può forzare il network in nessun modo.
Anche sulla blockchain XRP le novità vengono votate tra i nodi per emendamenti: se Ripple decidesse di aggiungere funzionalità che danneggiano il network (creare più XRP, congelamento di transazioni, ecc…) nessuno le voterebbe e non sarebbero attivate.
Aggiungo che nella blockchain XRP una transazione viene validata con un minimo di 80% di consenso tra nodi, questo comporta che debba essere compromessa una grande fetta del network per operare un attacco.
Per maggiori dettagli consiglio la lettura dell’articolo sul processo di consenso!
Conclusione
Siamo finalmente giunti alla fine: se siete ancora qui vi ringrazio della pazienza!
Questo articolo l’ho ritenuto assolutamente necessario per fare luce sulla relazione Ripple/XRP e quindi fare chiarezza su diversi dubbi che circolano a riguardo.
Come potete notare, solo andando a fondo nelle cose e analizzandone tutti i diversi aspetti si può ricavare un disegno generale che ha senso!
Non abbiamo ancora parlato del caso d’uso di XRP secondo Ripple, ma questo sarà oggetto del prossimo articolo!
Vi lascio con una infografica ufficiale che riassume alcuni degli aspetti trattati oggi… alla prossima settimana!
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